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Recensione 11

La solitudine incandescente

La solitudine incandescente

"La solitudine incandescente" rappresenta un’esperienza di isolamento individuale e collettivo, evocata dai toni infuocati e dalle pennellate drammatiche che trasmettono un senso di solitudine bruciante. Questa solitudine non è solo assenza di compagnia, ma presenza opprimente di sé stessi, un’esperienza vissuta sia a livello personale che di gruppo, specie in contesti di crisi come la pandemia. Il filosofo danese Knud Ejler Løgstrup, noto per la sua teoria dei fenomeni etici, vedrebbe questa opera come una rappresentazione della frattura relazionale. Løgstrup crede che la solitudine derivi dalla perdita di fiducia e di interconnessione con gli altri; non solo in termini fisici, ma anche nella connessione emotiva che ci permette di sentirci parte di una comunità. La solitudine diventa una condizione esistenziale dove la fiducia e il contatto umano, essenziali per la vita sociale, sono spezzati, lasciando l’individuo esposto a una luce intensa che non illumina, ma acceca. Anche il sociologo tedesco Hartmut Rosa, con la sua teoria della "risonanza", offre una lettura utile: secondo lui, la solitudine moderna è accentuata dall’accelerazione sociale e dalla mancanza di connessione autentica. Per Rosa, l’uomo contemporaneo vive in un mondo che corre troppo veloce per permettere legami profondi, e la solitudine è spesso la conseguenza di un sistema che privilegia l’efficienza rispetto all’empatia. Il dipinto può essere visto come un riflesso visivo di questa mancanza di risonanza: un paesaggio emotivo in cui l’isolamento è reso tangibile dalla luce che circonda, ma non scalda. Durante la pandemia di COVID-19, la solitudine è emersa in modo ancora più evidente, mostrando come sia possibile sentirsi profondamente soli anche quando si è fisicamente insieme. Famiglie chiuse in casa, ma mentalmente e spiritualmente distanti; individui privati di ogni contatto esterno, ma anche incapaci di connettersi con chi è più vicino. Questo paradosso riflette una solitudine di gruppo, dove la mancanza di interazioni sociali significative durante il confinamento ha amplificato il senso di alienazione, rendendo la solitudine un’esperienza collettiva. L’opera riflette anche le due facce della solitudine: quella negativa e quella positiva. Da un lato, esiste una solitudine distruttiva, simile a quella rappresentata nel quadro, dove l'incandescenza suggerisce un calore che non conforta, ma brucia, simbolo di isolamento, alienazione e dolore interiore. Dall’altro lato, esiste una solitudine che offre un'opportunità di crescita, un momento per riconnettersi con sé stessi e trovare una nuova forma di equilibrio interiore. Questa solitudine non è accecante, ma può trasformarsi in una luce che permette di vedere ciò che solitamente rimane nascosto dalle distrazioni quotidiane. Hartmut Rosa suggerisce che la risonanza, il sentirsi in sintonia con il mondo, può emergere anche dalla solitudine positiva, quella che non isola ma permette di ascoltare sé stessi e il proprio ambiente in modo più profondo. Questo tipo di solitudine diventa quindi non solo un modo per distaccarsi dalle pressioni esterne, ma anche un’occasione per riappropriarsi del proprio spazio emotivo e mentale. Il quadro dunque a mio avviso incarna meravigliosamente una condizione umana complessa, dove la solitudine è sia un peso che una potenziale via di trasformazione. È una solitudine che si vive in silenzio, ma che brucia intensamente, e che può condurre verso una nuova consapevolezza, se la luce che consuma riesce a trasformarsi in un bagliore che illumina. Elena Beccagutti