La scomposizione del viso
La "Scomposizione del viso" si rivela come un viaggio potente e travolgente nel cuore del caos interiore, un'esplosione di forme e colori che rompe ogni barriera tra la realtà e l'inconscio. Le pennellate, dense e tumultuose, evocano una lotta incessante per mantenere l'identità mentre tutto intorno si frantuma e si disperde. L'opera sembra parlare della frattura dell'Io, della dissoluzione di ciò che crediamo stabile e definito. Guardando questa scena, mi viene in mente la poesia di Sylvia Plath, in cui il tormento personale prende forma in immagini vivide e angoscianti. Come nelle sue poesie, in questo quadro non esiste una netta separazione tra ciò che è esterno e ciò che è interno: i colori intensi e contrastanti sembrano rappresentare stati d'animo in collisione, dove rabbia e vulnerabilità si sovrappongono, creando un paesaggio emotivo frammentato, ma vivo. Le figure si dissolvono e ricompongono, come se il volto rappresentato fosse costantemente plasmato e risucchiato dalle forze interne della psiche. La lotta tra l'indefinito e il desiderio di forma ricorda anche l'opera di T.S. Eliot, in particolare "La terra desolata", dove l'essere umano è mostrato nella sua frammentazione, nel suo tentativo di dare senso a un mondo in frantumi. Anche qui, la scomposizione non è solo distruzione, ma un invito a riscoprire nuove forme di ordine nel disordine. Nel quadro, come nei versi di Eliot, il caos non è vuoto, ma fertile terreno per una rinascita. Psicologicamente, questo dipinto è un tuffo nell'inconscio, nella parte più profonda e caotica dell'essere, dove il volto, simbolo dell'identità, non è più univoco, ma si moltiplica e si trasforma. Si potrebbe parlare di un'esplorazione dell'Ombra junghiana, dove le parti nascoste e non accettate di noi stessi emergono con forza, sfidandoci a confrontarle e, forse, a integrarle. Il quadro dunque diviene un invito a guardare dentro di sé, ad accettare la complessità dell'animo umano, e a scoprire che, nel caos, c'è sempre la possibilità di ricostruzione. Elena Beccagutti